IL BLOG DELL’ANGELO

L’Angelo Un racconto natalizio

29 novembre 2022

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Capitolo 1: La telefonata

«Non vengo».
«Come non vieni? Non puoi».
«Posso, altroché. E poi non mi va: le stesse facce, le stesse storie, lo stesso identico ritorno dell’uguale».
«Cosa vuoi di diverso!? È il pranzo di famiglia, ci vediamo una volta l’anno…».
«E poi non ho voglia di parlare in inglese!».
«Fa’ come vuoi, io non ne posso più di ‘ste discussioni».
«Grazie, Ma’. Finalmente…».
«Ah, tra l’altro lo facciamo all’Angelo».
«All’Angelo!? Davvero?».
«Sì, ha scelto tuo padre. C’è anche lui».
«D’accordo, vengo. Ma è l’ultimo anno, eh!? Davvero c’è anche Papà?».
«Sì».

Il pranzo delle feste è così: o lo ami o lo odi. Sara lo odiava con tutto il suo cuore: era stufa delle stesse facce, dei convenevoli, delle domande insistenti, dei sorrisi sempre-e-comunque. Ora che si sentiva grande (e lo era per davvero – a novembre aveva spento 34 candeline), aveva deciso di dire basta.

Questo prima di sapere dell’Angelo.

Il padre, Angelo pure lui, aveva scoperto quel ristorante un po’ per caso, tornando da una trasferta di lavoro; era rimasto folgorato dalla promessa del cartellone pubblicitario: “Si può viaggiare anche senza partire. Slacciate la cintura”. E poi si chiamava come lui… doveva provare quel ristorante!

Due ore dopo era di nuovo in strada, direzione Varese, eccitato ed emozionato, sazio, ma desideroso di “viaggiare” di nuovo.

Il fine settimana successivo era seduto allo stesso tavolo, questa volta con la sua famiglia. E pazienza per le due ore di viaggio, i soldi della benzina, ecc. Meritava, punto. Le sue figlie, Sara e e Matilde, erano entusiaste: non erano mai andate d’accordo su nulla, tranne che su quel ristorante: abbinamenti particolari, cura dei dettagli, piatti innovativi, sapori lontani eppure così vicini. A Milano ne avevano provati tanti, di ristoranti fusion, ma finivano per somigliarsi tutti: stessa estetica, stesse idee, stessi gusti, un guscio vuoto schiavo della “moda del momento”.

All’Angelo, invece, tutto era diverso: la cura – nei piatti, nel locale, nel servizio – era autentica; Chef Rao e il suo staff volevano fare bene il loro lavoro, essere all’altezza di quello che raccontavano.

Così, in un attimo, il pranzo di dicembre all’Angelo era diventato una tappa fissa della famiglia: Rita si godeva la compagnia delle figlie, che non vedeva quasi mai, Angelo tornava a rivivere i suoi viaggi di gioventù, e le due figlie smettevano di discutere per un giorno, tra scelte di vita sbagliate e rancori che, magicamente, sparivano una volta superata la soglia del locale.

Poi, due anni fa, la sorpresa, improvvisa, tremenda: Angelo e Rita si erano lasciati, da un giorno all’altro, senza preavviso – o almeno così pensavano le due figlie; in realtà la loro crisi durava ormai da parecchi mesi: si volevano bene, ma qualcosa non funzionava più.

Per la prima volta nella vita, Sara e Matilde si erano ritrovavate a vivere gli stessi giorni di festa che vivevano molti loro coetanei: la sera del 24 con il padre, in un ristorante qualunque, il 25 con la madre, a casa della nonna; in mezzo, i cugini della Germania, gli zii, altri cugini ancora, i nonni. Una macedonia dosata, pranzo dopo pranzo. Sara ne usciva disgustata ogni volta: sognava di chiudere gli occhi a metà dicembre per poi riaprirli la mattina dopo l’epifania.

Fino a quella telefonata con la madre. La prospettiva del pranzo all’Angelo aveva cambiato le carte in tavola, lo sapevano tutti: Rita, Matilde, Angelo, ma soprattutto Sara, che, ora, sorrideva allo specchio.

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